martedì 2 febbraio 2016

Sofocle, la tragedia di Antigone







Tra le mie varie letture da treno, ultimamente mi sono avvicinata ad un genere particolare: la tragedia greca.
Ho sempre amato la mitologia, ma sui libri scolastici. Il mio approccio con libri seri come la Teogonia o le Metamorfosi erano pieni di entusiasmo, ma lo stile mi smorzava subito. Sono poemi, perciò scritti in metrica, con figure retoriche e tante belle cose che sono importanti letterariamente, ma rendono la lettura difficile e pesante.
La prima tragedia che ho letto, invece, mi ha subito entusiasmata, in parte perché ero curiosa di sapere quale tra i vari finali tragici potesse avere (che sarebbe stato tragico era ovvio) ma soprattutto per il linguaggio e i toni sferzanti che mi hanno sorpresa e divertita molto, ed è quella di cui vi parlo ora, Antigone.
La partenza è improvvisa, spiazzante e un po' confusa per noi che non viviamo a pieno le storie mitiche. Poiché la tregedia doveva durare al massimo 24 ore, dà per scontato l'antefatto, che io ora brevemente vi riassumo.
Edipo diventa re di Tebe, perchè riesce a sconfiggere la sfinge che minacciava la città e il re viene ucciso da un viandante sconosciuto e mai ritrovato. Si innamora della vedova del re e la sposa. Da lei avrà quattro figli: Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene. Scopre diversi anni dopo (narrato nella tragedia, sempre di Sofocle, Edipo re) di essere lui il viandante che ha ucciso il re, suo padre, e aver giaciuto senza saperlo nel letto della propria madre. I genitori lo avevano abbandonato da piccolo per evitare che la profezia che prediceva tutto ciò si avverasse e lo credevano morto. Distrutto dalla scoperta, si acceca la moglie/madre Giocasta si trafigge con un pugnale.
I figli maschi e gemelli, Eteocle e Polinice, lottano per il potere e scoppia una guerra civile che culmina con l'esilio di Polinice. Così assedia Tebe e durante un combattimento i due fratelli si uccidono a vicenda. Creonte, fratello di Giocasta, prende il potere e ordina che il corpo di Polinice, poiché ha attaccato la propria patria, rimanga  insepolto, pena la morte per chiunque lo seppellisca.
Qui inizia la tragedia di Antigone, che cerca di convincere la sorella Ismene a seppellire di nascosto il fratello. Sostiene che sia una punizione troppo grave quella scelta da Creonte, anche per una colpa come quella (per i greci era uno dei più grandi obblighi morali verso gli dei seppellire i morti, più di una volta vengono elogiati eroi che hanno dato la sepoltura ad un uomo, anche se sconosciuto). Ismene però ha paura di andare contro la volontà del re e Antigone agisce da sola.
Due volte seppellisce il cadavere e due volte viene disseppellito, alla seconda viene scoperta e condotta dal re per essere punita. Qui inizia la parte più viva della tragedia. Antigone è una donna di carattere e, visto che la sua fine è segnata, non teme nulla e non trattiene commenti sferzanti e riflessioni sentite ma lucide che portano nel torto il re caparbio e sbalordiscono il lettore.
È una tragedia breve ma intensa, dove però trovano spazio forti emozioni, convinzioni e ripensamenti, verso un finale che mi ha stupito. E la consapevolezza che almeno uno dei personaggi sarebbe morto alla fine (non si sarebbe chiamata tragedia altrimenti) stranamente non mi ha rovinato la lettura. È difficile che io legga storie lacrimevoli o tragiche e per questo dubitavo che le tragedie potessero piacermi, ma sono rimasta sorpresa. E se tutte sono scritte con un brio simile, non mi stupisce che i greci le amassero tanto (come sottolineo anche in un mio articolo). In fondo gli antichi greci erano uomini come noi, e lette per piacere le loro opere non sembrano così male, non trovate?
Fabiana

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